La diagnosi

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La diagnosi in Analisi Transazionale, secondo Berne, il fondatore dell’Analisi Transazionale, prevede che vi siano 4 modi per riconoscere in quale Stato dell’Io si trova la persona in un determinato momento:
Diagnosi Comportamentale: si valuta in quale Stato dell’Io si trova la persona in relazione al comportamento manifestato e osservabile attraverso parole, tono della voce, gesti, espressione facciale, atteggiamenti del corpo.
Diagnosi Sociale: si basa sul presupposto che spesso gli altri si rapportano a noi a partire da uno Stato dell’Io che è complementare a quello in cui noi ci troviamo. Quindi osservando lo Stato dell’io da cui l’altro reagisce posso fare ipotesi sullo Stato dell’Io in cui Io mi trovo….e viceversa. Se ad esempio tendo a relazionarmi verso una persona dal mio Stato dell’Io Genitore, posso ipotizzare che l’altro si relazioni a me dallo Stato dell’Io Bambino.
Diagnosi Storica: si effettua attraverso l’intervista fatta alla persona sulle sue figure genitoriali e permette di verificare la nostra impressione riguardo i suoi Stati dell’Io da un punto di vista strutturale e funzionale.
Diagnosi Fenomenologica: la persona viene invitata a rivivere una scena del suo passato in cui risperimenta uno Stato dell’Io in tutta la sua intensità.

La diagnosi degli Stati dell’Io si basa, fondamentalmente, sull’acutezza dell’osservazione coadiuvata dalla sensibilità intuitiva; la prima può essere appresa, la seconda soltanto coltivata (tuttavia, la mancanza di intuizione diagnostica, anche dopo un’adeguata preparazione, sembra doversi attribuire ad una resistenza del soggetto piuttosto che ad una sua incapacità).

la diagnosi

La fase diagnostica rappresenta in qualunque contesto, il presupposto di ogni intervento e il suo obiettivo primario è quello di comprendere il problema che impedisce una corretta funzionalità e apportare, ove sia possibile, i relativi rimedi. Premesso questo, risulta altresì fondamentale rilevare le differenze che connotano specificamente tale intervento in ambito psicologico.
Se nel caso della Diagnosi Medica, l’attività è volta, attraverso il raggruppamento dei sintomi, ad un inquadramento clinico-nosografico della malattia, nel caso della Diagnosi Psicologica, essa significa innanzitutto “sapere cosa fare di fronte ad un disagio e non tanto identificare le norme dell’eventuale patologia” (Menninger, 1962) e deve quindi raccogliere dati cercando di comprendere i molteplici fattori che a più livelli entrano a far parte della vita del soggetto e che condizionano così il suo processo adattativo.
L’obiettivo della Diagnosi Psicologica non è dunque solo quello di formulare una “diagnosi” in termini clinico-nosografici con lo scopo di identificare una malattia e le sue eventuali cause, come persegue il modello medico, bensì di giungere ad una descrizione molto articolata delle caratteristiche della personalità del soggetto/gruppo/sistema e delle sue risposte comportamentali in seno ad un contesto od a contesti specifici. In essa rilevano non solo gli aspetti sintomatologici, quanto quelli strutturali e di organizzazione delle diverse dimensioni o sfere dell’individuo. E quindi essa fonda la propria essenza sulla relazione con il paziente attraverso il rapporto empatico che prende in considerazione l’analisi delle collusioni e tutto ciò che il soggetto comunica a livello verbale e non verbale.
L’Indagine Psicodiagnostica si connota come una modalità d’intervento specialistico nel più ampio contesto della Diagnosi Psicologica ed è riferibile ad un processo che si avvale di strumenti e tecniche d’indagine della personalità che fungono da supporto “oggettivo” alle inferenze cliniche, altrimenti tratte, dal colloquio clinico.
Detti strumenti consentono infatti, di oggettivare il maggior numero di esperienze soggettive (comprese quelle legate a dinamiche e tendenze inconsce che spesso regolano o determinano certi comportamenti e/o che sono alla base di eventuali disturbi psicogeni) di un individuo, fornendo quindi un valido supporto nella stesura del profilo o nella descrizione della struttura di personalità di un soggetto, all’interno di un processo circolare, che si svolge in un termine di tempo definito.
Quando esaminiamo un paziente per scopi clinici e si utilizzano i Test o le Tecniche d’Indagine della Personalità, altrettanta importanza assume la relazione tra esaminatore ed esaminato (sia che si adoperi un solo strumento nel caso in cui l’obiettivo dell’indagine sia molto specifico e circoscritto, sia che ci si avvalga di una batteria di test).
Bisogna tenere presente che l’obiettivo non è quello di misurare.
Anche se in una certa misura molti strumenti forniscono delle “misure” (per es. i test d’intelligenza o lo stesso Test di Rorschach), quando esaminiamo un paziente per scopi clinici, non stiamo semplicemente misurando: osserviamo una persona in azione, tentiamo di ricostruire il modo cocui ha gestito i diversi compiti che gli abbiamo affidato e infine tentiamo di dare un senso clinico al suo comportamento” (Mayman, 1964, 1980 ). Questo obiettivo é raggiungibile solamente attraverso una dimensione intersoggettiva e di contestualizzazione del disagio, che si basa sull’analisi di tutti gli elementi presenti nel processo di valutazione.
In altre parole , ci si avvale delle informazioni “oggettive” ricavate dagli indici e dai risultati dei test come da altre,”extra diagnostiche”, tratte dal colloquio clinico anamnestico, o provenienti da altre fonti (colloqui familiari) e/o da indagini condotte da altri esperti (come nel caso delle équipe multidisciplinari) ed infine dalle inferenze tratte dall’analisi del comportamento e delle dinamiche relazionali tra esaminatore ed esaminato durante l’indagine. Tali informazioni forniranno, attraverso lo studio delle loro convergenze e/o delle eventuali discordanze, il materiale sul quale, il professionista baserà le sue conclusioni.
Qualunque sia lo scopo che si prefigge l’indagine, va comunque ribadito che essa si svolge all’interno di una relazione, dove il ruolo assunto dall’esaminatore ha un peso sostanziale: capacità di promuovere un atteggiamento collaborativo, di gestire tale relazione e di giungere ad una comprensione del soggetto attraverso la lettura integrata e trasversale di tutti gli elementi presenti nel setting. La sempre più frequente delega a dispositivi tecnici o meccanici (computer), a svolgere tali funzioni rischia di ridurre tale processo ad una mera descrizione di dati, in un’ottica più psicometrica, e di compromettere l’efficacia dell’intervento, privandolo della capacità discriminatoria, creativa, di sintesi e decisionale, che caratterizzano altrimenti l’intervento umano.

Fonte: www.psicoterapiapsicologia.it/articoli-psicologia-psicoterapia/la-diagnosi-psicologica-e-l-indagine-psicodiagnostica